Dieta Mediterranea alcalinizzante

Dieta occidentale e osteoporosi

Nella società occidentale l’invecchiamento è associato ad una perdita della massa minerale ossea, con comparsa prima di osteopenia e poi di osteoporosi.

L’osteoporosi si può definire come un disordine delle ossa, caratterizzato dalla compromissione della loro robustezza, che predispone ad un aumento del rischio di frattura.

Per l’OMS la diagnosi densitometrica di osteoporosi si basa sulla valutazione con tecnica Dual-energy X-ray Absorptiometry (DXA) della densità minerale ossea, raffrontata a quella media di soggetti adulti sani dello stesso sesso (che abbiano raggiunto il cosiddetto picco di massa ossea). L’unità di misura è rappresentata dalla deviazione standard dal picco medio di massa ossea (T-score). È stato osservato che il rischio di frattura inizia ad aumentare in maniera esponenziale quando si hanno valori densitometrici di T-score < -2.5 SD. Secondo l’OMS un T-score < – 2.5 SD rappresenta la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi. Qui di seguito vengono descritti i quattro possibili scenari.

  1. La BMD normale è definita da un T-score compreso fra +2,5 e -1,0.
  2. L’osteopenia è definita da un T-score compreso tra -1,0 e -2,5 DS.
  3. L’osteoporosi è definita da un T-score inferiore a -2,5 DS.
  4. L’osteoporosi conclamata è definita da un T-score inferiore a -2,5 DS e dalla contemporanea presenza di una o più fratture da fragilità.

Lo scheletro come serbatoio di basi

Nel tempo si è avanzata l’idea che un’eccessiva assunzione di alimenti acidificanti (net acid-producing dietdiet net acid load) e la conseguente acidosi di basso grado possano causare una perdita di massa minerale ossea. Furono Wachman e Bernstein oltre 50 anni fa a proporre la dieta alcalina per la prevenzione delle patologie da demineralizzazione ossea.

Non c’è dubbio sul fatto che la tipica dieta occidentale (Western diet) si caratterizza per un eccessivo consumo di alimenti di derivazione animale rispetto a frutta e verdura. I primi vengono metabolizzati in sostanze acide e per questo vengono definiti acidificanti. Potremmo dire, dunque, che la Western diet aumenta il carico acido netto o net acid load.

Il nostro organismo possiede i sistemi enzimatici per tamponare gli acidi e le basi in eccesso, ingeriti o prodotti dal nostro metabolismo.

Lo scheletro è un ampio serbatoio di basi (25,000–30,000 milliequivalenti (mEq) (1 milliequivalente corrisponde ad 1 millimole di un composto ionico con una carica di  +1 o −1, (ad esempio sodio (Na), potassio (K), cloro (Cl), bicarbonato (HCO3))) sotto forma di sali alcalini di calcio (quali ad esempio l’idrossiapatite di calcio, il carbonato di calcio).

L’idea che queste basi possano essere prelevate dallo scheletro per neutralizzare il carico acido netto è nata da una serie di studi in vivo condotti su animali da laboratorio e sull’uomo. Gli studi hanno dimostrato che modelli alimentari associati ad un’aumentata produzione di specie chimiche acide porta ad un bilancio negativo del calcio (condizione nella quale le perdite di questo elemento sopravanzano il suo introito). La domanda che è sorta a seguito di questi studi è se una dieta con queste caratteristiche protratta per decadi possa contribuire alla perdita di densità scheletrica e, dunque, all’insorgenza di osteopenia e di osteoporosi. E se così fosse una dieta ricca di alimenti alcalinizzanti potrebbe al contrario proteggere il nostro scheletro?

Dieta alcalinizzante per proteggere lo scheletro, è vero?

Al momento attuale esistono prove a favore e prove contrarie a questa ipotesi. Si può trovare un punto di incontro tra sostenitori e detrattori?

Iniziamo con il parlare del bilancio acido (acid balance). Nel nostro organismo il valore del pH ematico è mantenuto all’interno di un ristretto range che va da 7,35 a 7,45 in virtù del fatto che gli acidi e le basi presenti nel sistema possono essere escreti o tamponati. Negli individui giovani che godono di una piena funzionalità renale il pH ematico e i bicarbonati sono mantenuti al più alto livello dello spettro. Anche a fronte di una dieta particolarmente acidificante, i reni sono in grado di eliminare l’eccesso di acidi attraverso le urine. Via via che gli anni passano, la capacità del nostro organismo di mantenere il pH a livelli ottimali declina fino a che pH e bicarbonati si ritrovano al più basso livello dello spettro.

Se mentre la capacità renale di regolare il pH si riduce l’assunzione di cibi acidificanti con la dieta rimane la stessa non vi è dubbio che l’organismo dovrà fare ricorso alle basi presenti nello scheletro per compensare.

Cibi acidificanti e alcalinizzanti

Gli alimenti che compongono la nostra dieta vengono metabolizzati fino a produrre specie chimiche che possono avere un’azione acidificante o alcalinizzante. Gli studi in merito sono iniziati alla fine del diciannovesimo secolo. I soggetti reclutati in questi studi ricevevano una dieta specifica e a seguire venivano analizzati i composti dell’azoto presenti nell’urina. Sul finire degli anni 50 il gruppo di Relman, Lemann e Lennon diede il via ad una serie di studi che sono diventati di riferimento. Gli scienziati hanno studiato la relazione esistente tra la produzione endogena di acidi e la loro escrezione renale arrivando a dimostrare che la produzione netta di acidi è la somma

  • della liberazione di protoni dai composti organici del fosforo,
  • dell’ossidazione dello zolfo organico a solfati,
  • della formazione endogena di acidi organici.

Le basi sono prodotte dall’ingestione di anioni organici come i citrati o i malati che nel nostro organismo vengono metabolizzati a bicarbonati. La gran parte dei bicarbonati vengono escreti dai polmoni sotto forma di anidride carbonica.
L’analisi biochimica degli alimenti dimostra che tutti i cibi contengono precursori degli acidi mentre frutta e verdura contengono anche i precursori delle basi. Si è potuto stimare che la dieta occidentale produce circa 1 millequivalente di acidi per chilogrammo di peso corporeo e approssimativamente 50 mmol di acidi al giorno.

Prevenire l’osteoporosi con la dieta alcalina

Come già detto nei soggetti sani il pH ematico varia in un range molto stretto e compreso tra 7,35 e 7,45. Gli studi in vitro hanno dimostrato che l’incremento del livello degli acidi porta ad un’attivazione degli osteoclasti, le cellule specializzate nel riassorbimento osseo. Sulla base di queste osservazioni è possibile ipotizzare che a causa del decadimento della funzionalità renale l’adozione nel lungo periodo di una dieta ricca di alimenti acidificanti possa contribuire in maniera consistente alla comparsa di osteopenia e osteoporosi.
Gli osteoblasti, cellule la cui funzione è quella di produrre matrice ossea, lavorano al meglio ad un pH più prossimo a 7,4.

Diversi scienziati hanno indagato in questo ambito arrivando a produrre risultati che corroborano l’ipotesi della alcalinizzante come strumento di prevenzione dell’osteoporosi.

Sebastian et al. hanno condotto uno studio su 18 donne in età post-menopausale. La somministrazione di bicarbonato di potassio (KHCO3) per un periodo di 18 giorni alla dose sufficiente a neutralizzare il carico acido (da 70,9 ± 10,1 a 12,8 ± 21,8 mmol al giorno) ha migliorato il bilancio del calcio e del fosforo. Questo fenomeno era legato ad una riduzione della concentrazione urinaria di idrossiprolina, un marker del riassorbimento osseo, e ad un incremento di osteocalcina sierica, marker di apposizione di matrice ossea.

Wynn et al. hanno condotto uno studio randomizzato della durata di quattro settimane che ha coinvolto trenta giovani donne con un intake adeguato di calcio. Si voleva verificare l’effetto di un’acqua alcalina rispetto ad un’acqua tendenzialmente acida e ricca di calcio. Si è potuto dimostrare che l’acqua alcalina ha comportato una riduzione dei livelli ematici di paratormone e del C-telopeptide, un altro marker di riassorbimento osseo.

Jehle et al.  hanno condotto uno trial randomizzato, in doppio cieco con placebo e controllo della durata di due anni. Al termine dello studio è stato possibile dimostrare che la somministrazione di 60 mmol citrato di potassio ha comportato un incremento della densità minerale ossea. Il gruppo di studio era formato da uomini e donne di età compresa tra i 65 e gli 80 anni. Sulla base del modello previsionale FRAX (Fracture Risk Assessment prediction model) si è stimato che la somministrazione di citrato di potassio per un periodo di due anni riduce significativamente il rischio di fratture rispetto a quanto avviene nel gruppo di controllo (placebo).

Perché secondo alcuni la dieta alcalina non serve a nulla?

L’ipotesi che una dieta alcalina possa rappresentare un vantaggio per la salute del nostro scheletro non è condivisa da tutti. Qui di seguito riporto una parte dell’articolo pubblicato da Dario Bressanini (che io stimo molto e che considero uno dei più bravi divulgatori scientifici che abbiamo in Italia) diversi anni fa (vedi qui).

Una pietanza alcalina, subito dopo l’ingestione, viene a contatto con i succhi gastrici presenti nello stomaco che, come tanti sanno, sono molto acidi. Questo «incontro» neutralizza l’alcalinità dell’alimento, che al momento di venire assimilato è praticamente neutro (o addirittura acidificato).

Anche se esistesse un cibo capace di mantenere la sua basicità dopo il passaggio dallo stomaco, fino a riuscire a far variare il pH del sangue, si metterebbero in moto tutti i meccanismi che abbiamo descritto per riportare immediatamente il pH ai valori consueti.

Nel caso (ipotetico e inesistente) di un alimento commestibile che dopo aver sorpassato indenne l’acidità gastrica e non aver scatenato i meccanismi di regolazione del pH, riuscisse a rendere «basico» il nostro sangue, basterebbero pochi minuti di questa condizione per andare in alcalosi metabolica. Pertanto, se esistesse questo tipo di alimento, sarebbe un veleno e mangiarlo significherebbe morire, altro che salute!

Il ragionamento di Bressanini è confermato da una serie di lavori scientifici.

Fenton et al. hanno condotto una metanalisi arrivando a dimostrare che esiste una relazione tra l’escrezione netta di acidi a livello renale (urinary net acid excretion o NAE) e la quantità di calcio urinario (p < 0.0001). Non c’è invece alcuna relazione tra il NAE e la concentrazione di N-telopeptide, marker di riassorbimento scheletrico.

Il Canadian Multicentre Osteoporosis Study (CaMOS) ha esaminato l’associazione tra l’escrezione urinaria di acidi e il fenomeno dell’osteoporosi. Dopo aver eliminato i fattori di confondimento, il CaMOS study ha dimostrato che non c’è alcuna correlazione tra il pH urinario e l’incidenza di fratture (avendo analizzato una popolazione di 6804 donne) oppure tra il pH urinario e la riduzione della densità minerale ossea in un arco temporale di cinque anni.

Il punto di incontro tra le due visioni

Il consumo abituale di una dieta acidificante può avere un impatto negativo sulla salute del nostro scheletro ma è lecito pensare che questo impatto sia relativamente piccolo. L’età, il sesso, il peso corporeo, la sedentarietà contribuiscono in maniera molto più consistente al rischio di fratture.

Non vi è dubbio sul fatto che i soggetti giovani e con una buona funzionalità renale riescono a mantenere il loro pH ematico al più alto livello del range anche a fronte di una dieta ricca di alimenti acidificanti.  Con l’avanzare dell’età e l’inevitabile declino della funzionalità renale, l’eccessivo consumo di alimenti acidificanti fa sì che il pH ematico scenda al limite inferiore di norma. A questo punto per quanto l’età, il sesso, l’etnia, la sedentarietà siano i fattori a maggiore impatto, nei soggetti anziani la dieta, alcalinizzante o acidificante, esercita un ruolo non trascurabile.

Limone, il più alcalinizzante di tutti gli alimenti

I benefici del limone sono noti da secoli. Trai i più noti ci sono gli effetti antibatterici, antivirali e stimolanti del sistema immunitario. Il limone è una miniera di vitamine e sali minerali. Tra i costituenti, i più rappresentati sono l’acido citrico, l’acido malico, l’acido ascorbico o vitamina C. Il valore calorico per 100 g di polpa è di appena 35-56 kcal. Su 100 g troviamo 0,6 g di lipidi, 149 mg di potassio (7% del fabbisogno giornaliero), 11 mg di calcio (1% del fabbisogno giornaliero), 28 mg di magnesio (9% del fabbisogno giornaliero) e 51 mg di Vitamina C (71% del fabbisogno giornaliero). Altri importanti costituenti sono i bioflavonoidi, la pectina e il limonene. È grazie a queste sostanze che il limone svolge la sua azione stimolante sul sistema immunitario, anti-infettiva e anti-tumorale.

Consumando questo frutto potrete:

  1. Promuovere la peristalsi intestinale (l’effetto gastro-colico contrasta la stipsi).
  2. Promuovere la diuresi e tramite questa via l’allontanamento delle tossine.
  3. Rafforzare il sistema immunitario: consumare con regolarità alimenti ricchi di vitamina C può contribuire a prevenire i malanni e a velocizzare la scomparsa dei sintomi.
  4. Facilitare l’assorbimento del ferro a livello intestinale.
  5. Bilanciare il consumo di alimenti acidificanti: il limone, per quanto acido, è annoverato tra gli alimenti alcalinizzanti; i sali dell’acido ascorbico infatti (vedi ascorbato di sodio e ascorbato di potassio) partecipano alle reazioni di sintesi dei bicarbonati.
  6. Diminuire i livelli di acido urico e quindi contrastare e prevenire iperuricemia e gotta.
  7. Migliorare l’aspetto della pelle grazie all’effetto antiossidante della vitamina C che contrasta la formazione delle rughe e i danni da radicali liberi; la prevenzione del foto-invecchiamento e del crono-invecchiamento passa attraverso la vitamina C: infatti l’idrossiprolina, amminoacido presente nelle catene peptidiche che costituiscono le fibre collagene, gioca un ruolo essenziale nel mantenimento della stabilità del collagene stesso; questo amminoacido viene prodotto tramite idrossilazione della prolina, reazione in cui è indispensabile la presenza della vitamina C;
  8. Sentirvi più energici: l’acido citrico è parte fondamentale del ciclo di Krebs, si tratta di un ciclo metabolico attivo in tutte le cellule che utilizzano ossigeno nel processo di respirazione cellulare e che porta alla formazione di energia chimica.
  9. Combattere l’alitosi e prevenire le gengiviti e le malattie del periodonto; poiché però l’acidità del frutto potrebbe danneggiare lo smalto dei denti si consiglia di attendere prima di spazzolarli.

 

Riferimenti bibliografici

Frassetto L, Banerjee T, Powe N, Sebastian A. Acid Balance, Dietary Acid Load, and Bone Effects-A Controversial Subject. Nutrients. 2018 Apr 21;10(4):517. doi: 10.3390/nu10040517. PMID: 29690515; PMCID: PMC5946302.

Sebastian, A.; Harris, S.T.; Ottaway, J.H.; Todd, K.M.; Morris, R.C., Jr. Improved mineral balance and skeletal metabolism in postmenopausal women treated with potassium bicarbonate. N. Engl. J. Med. 1994330, 1776–1781.

Wynn E., Krieg M.A., Aeschlimann J.M., Burckhardt P. Alkaline mineral water lowers bone resorption even in calcium sufficiency: Alkaline mineral water and bone metabolism. Bone. 2009;44:120–124. doi: 10.1016/j.bone.2008.09.007.

Jehle S., Hulter H.N., Krapf R. Effect of potassium citrate on bone density, microarchitecture, and fracture riskin healthy older adults without osteoporosis: A randomized controlled trial. J. Clin. Endocrinol. MeTable. 2013;98:207–217. doi: 10.1210/jc.2012-3099.

Fenton, T.R.; Lyon, A.W.; Eliasziw, M.; Tough, S.C.; Hanley, D.A. Meta-analysis of the effect of the acid-ash-hypothesis of osteoporosis on calcium balance. J. Bone Miner. Res. 2009, 24, 1835–1840

 

Libro consigliato

Microbiota e sport

Manuale pratico per gli healthcare professionals

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.