latte vaccino

E se ricominciassimo a nutrirci meglio… il buon latte ricco di salute” così recitava uno spot pubblicitario degli anni ’80. Oggi “segui il tuo istinto naturale … ti guiderà verso le cose buone per te” è l’invito di una pubblicità a consumare un latte al 100% vegetale.

latte-colazione

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Cosa è cambiato negli ultimi trent’anni nel nostro modo di percepire un alimento considerato per lungo tempo salutare? E quali sono le ragioni che spingono sempre più persone a non bere più latte?

  1. Uno dei motivi più diffusi è legato ad una carenza enzimatica. Il latte contiene uno zucchero, il lattosio, composto da glucosio e galattosio. Per poterlo digerire abbiamo bisogno dell’enzima beta-galattosidasi. Ben espressa nei lattanti (anche il latte materno contiene lattosio), la beta-galattosidasi tende a non essere più sintetizzata negli individui adulti. Rimanendo indigerito all’interno del lume intestinale il lattosio causa una diarrea su base osmotica con aumento della massa fecale e diminuzione della sua consistenza. I tipici sintomi dell’intolleranza al lattosio compaiono normalmente da 30 minuti a 2 ore dopo l’ingestione dello zucchero e comprendono oltre alla diarrea dolori addominali, borborigmi, meteorismo e a volte nausea e vomito. Studi recenti rivelano che in Italia 4 individui su 10 presentano deficit di lattasi. Tolto il latte dalla dieta si torna a star bene.
  2. Ma il latte può risultare difficile da digerire anche se si dispone della beta-galattosidasi. Succede a causa della pastorizzazione e della conseguente denaturazione delle proteine. Dopo la mungitura il latte viene conferito allo stabilimento di confezionamento dove viene sottoposto ad un solo trattamento termico (pastorizzazione a 72-75°C per 15-20 secondi e successivo raffreddamento a 4°C) allo scopo di inattivare la microflora patogena e di ridurre il carico di microrganismi alterativi. Per essere definito fresco un latte non deve contenere meno del 14% di proteine non denaturate. Se leggiamo questa informazione al contrario ne deriva che oltre l’80% delle proteine del latte sono denaturate e dunque difficilmente digeribili! In più non va trascurato di dire che esistono due tipi di beta caseina: A1 e A2. Dalla digestione della beta caseina A1 viene prodotto il peptide beta-casomorfina 7 responsabile degli effetti avversi a livello gastrointestinale. Li chiamiamo PD3 (symptoms of post-dairy digestive discomfort) e sono i sintomi gastrointestinali che conseguono all’aver bevuto latte o mangiato derivati del latte. Sono in gran parte sovrapponibili a quelli dell’intolleranza al lattosio e compaiono anche se si beve un latte delattosato (Jianqin S. et al. Effects of milk containing only A2 beta casein versus milk containig both A1 and A2 beta casein proteins on gastrointestinal physiology, symptoms of discomfort, and cognitive behavior of people with self-reported intolerance to traditional cows’ milk. Nutrition Journal 2016).
  3. C’è poi chi toglie il latte vaccino dalla propria dieta perché ne sospetta la cancerogenicità. Questo è un argomento forte da affrontare. Il cancro è una malattia multifattoriale nella quale alle mutazioni genetiche già presenti alla nascita (predisposizione) se ne sommano altre durante il corso della vita. Le mutazioni danno il via al processo di cancerogenesi mentre i fattori di rischio giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia. Gli interferenti endocrini presenti nel cibo (sia quello di origine animale che quello di origine vegetale) rappresentano un importante fattore di rischio soprattutto per le forme tumorali ormone-dipendenti. Così ad esempio nel latte vaccino possiamo trovare in discrete quantità prolattina, IGF-1 (Insulin like Growth Factor-1), prostaglandine (PGE2, PGD2, PGF2, PGI2 e Trombassano A2), glucocorticoidi, androgeni, estrogeni e progesterone (Hassan Malekinejad and Aysa Rezabakhsh. Hormones in dairy foods and their impact on public health – a narrative review article. Iran J Public Health 2015). Sembra che queste sostanze possano essere implicate nelle fasi di iniziazione, promozione e progressione che portano alla comparsa del cancro al seno, alla prostata e all’endometrio. Di IGF-1 ne parla tanto Valter Longo. Dopo aver indirizzato i propri studi sugli effetti terapeutici del digiuno (in massima parte legati alla ridotta sintesi dei fattori di crescita) il ricercatore italiano si è imbattuto nei nani di Laron equadoregni. I nani di Laron con una statura media di 120 cm producono quantità fisiologiche di ormone della crescita (GH, Growth Hormone) che però non riesce ad interagire con i propri recettori. Il GH media la crescita staturale promuovendo il rilascio da parte del fegato di IGF-1. Quest’ultimo è il vero effettore delle intenzioni del GH: agisce come potente fattore di crescita promuovendo la proliferazione e la differenziazione cellulare soprattutto a livello muscolare e cartilagineo. Ma l’IGF-1 potrebbe agire anche fattore promovente la cancerogenesi (Kaaks R. Nutrition, insulin, IGF-1 metabolism and cancer risk: a summary of epidemiological evidence. Novartis Found Sump. 2004). Quello che è certo è che i nani di Laron, privi di IGF-1; non ammalano mai di tumore! Ma non dobbiamo trascurare di dire che gli interferenti endocrini si trovano abbondanti anche in molti alimenti di origine vegetale, specie nella soia e nei prodotti industriali da essa derivati. Sarebbe un grave errore sostituire il latte vaccino con il latte di soia se l’obiettivo è quello di prevenire la comparsa del cancro in soggetti geneticamente predisposti (Koo J et al. Induction of proto-oncogene BRF2 in breast cancer by the dietary soybean isoflavone daidzein. BMC Cancer 2015).
  4. Cos’altro ci può essere che non va nel latte vaccino? Nelle mamme che allattano qualora sia in corso una mastite e si ponga la necessità di intervenire con una cura antibiotica si interrompe momentaneamente l’allattamento (a volte questa interruzione diventa ahimè definitiva). Gli antibiotici sono largamente utilizzati in zootecnia da oltre 50 anni a scopo preventivo, nel trattamento di mastiti, di patologie respiratorie e podali e a scopo auxinico (il ruminante trattato con antibiotici cresce più velocemente). Si utilizzano gli stessi principi attivi comuni alla medicina umana (penicilline, sulfonamidi, tetracicline, fluorochinoloni, aminoglicosidi e macrolidi). Nella filiera del latte un aspetto critico è rappresentato dall’impiego “disinvolto” del principio attivo a “tempo di sospensione zero”. Questo significa in altri termini che l’animale trattato con antibiotici per una zoppia viene munto ugualmente. Dal 50 all’80% del principio attivo finisce nel latte che noi beviamo ed è questa una delle tante ragioni alla base della comparsa di ceppi batterici patogeni resistenti agli antibiotici. Allo stesso modo può darsi che anche se non avete fatto uso di antibiotici il Potere Antibiotico Residuo (PAR test) sia elevato. Il PAR test viene eseguito sulle urine allo scopo di rilevare la presenza di antibiotici. Di solito viene proposto in concomitanza con l’urinocoltura per capire se gli esami possono essere falsati dalla presenza di antibiotici. In realtà mi è capitato di trovarlo positivo anche in chi non era stato trattato farmacologicamente. L’unica spiegazione possibile era l’assunzione di antibiotici attraverso il cibo.
  5. Raramente ci può capitare di bere un buon latte munto da una vacca lattifera alimentata al pascolo. In questo caso il latte sarebbe ricco di omega-3, acidi grassi polinsaturi ad elevato potere anti-infiammatorio. Le vacche da latte vengono più spesso alimentate con insilato di mais e finisce con il produrre un latte ricco di omega-6 ad azione pro-infiammatoria.
vacche al pascolo

vacche al pascolo

Quale dovrebbe essere la conclusione di questo articolo? I problemi che abbiamo esposto sono in parte comuni ad altre fonti alimentari e in genere non mi piacciono i processi senza possibilità di appello. Alcune delle criticità a cui abbiamo fatto cenno sono risolvibili:

 

  1. esistono i latti delattosati per chi è intollerante;
  2. esiste una normativa rigida per l’impego di antibiotici in ambito zootecnico, basta farla rispettare;
  3. l’alimentazione delle bovine da latte potrebbe essere migliorata allo scopo di creare un latte di qualità superiore (ne esistono già in commercio);
  4. per quanto riguarda la digeribilità del latte, pur non potendo rinunciare alla pastorizzazione, si potrebbero selezionare vacche lattifere capaci di produrre solo beta caseina A2.

Si può scegliere dunque di consumare latte vaccino e sapendo che “il veleno sta nella dose” il mio consiglio è quello di farne un uso moderato.

latte-gelato

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