Dieta e lobi frontali

Quando pensiamo di fare qualcosa non siamo da soli… siamo in tre! Ed è uno dei motivi per cui si fa confusione. Affermazione curiosa, questa, che va spiegata (e io come al solito la prendo alla lontana).
Si dice che “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi“. Cosa significa? Durante il nostro sviluppo embrionale (ontogenesi per l’appunto) attraversiamo le stesse fasi che sono state percorse nello sviluppo della specie (filogenesi). Nei momenti iniziali assomigliamo ad un girino, poi ad un pesce, quindi ad un mammifero ed infine ad un primate.
Quando veniamo al mondo, dopo questa giostra di trasformismi, qualcosa del pesce e del mammifero ci rimane dentro.
Si tratta del cervello rettiliano o R-complex e del cervello limbico. Il primo, il più primitivo in assoluto, si occupa della preservazione del sé e delle dinamiche istintuali; il secondo, leggermente più raffinato, è la sede delle emozioni.

Ma poiché non possiamo essere tutto istinto ed emozioni… siamo dotati di un terzo cervello, quello della neocorteccia e delle abilità intellettuali.

E allora cosa c’entrano i tre cervelli con il fatto di stare a dieta e con l’avere successo?

Semplice! Se di fronte ad una decisione già presa andiamo in modalità riflessa oppure emotiva, potremmo mangiare un dolce istintivamente senza pensarci o anche perché in quel momento siamo giù di morale. Nel primo caso il ragionamento che si attiva è “vedo un dolce… me lo mangio” … un po’ come fa la lucertola quando vede la sua preda. Nel secondo caso, ed è il più frequente, l’appetizione è sostenuta dalle emozioni e spesso dal ricordo consolatorio del “dolce” che scioglie ogni tensione. Come nella canzone di Mary Poppins “basta un poco di zucchero e la pillola va giù” … nel nostro scenario comportamentale non c’è preoccupazione che si possa affrontare senza la famosa vaschetta di gelato tra le mani.

Ovviamente le cose sono più complesse di così ma qui non si tratta di dare prova di erudizione… si tratta piuttosto di dare gli strumenti per poter “comandare in casa nostra”. Del resto chi affiderebbe questioni che hanno a che fare con il proprio stato di salute ad un anfibio oppure al proprio gatto?

Diciamo allora che il cervello rettiliano è quello che ci salva dal pericolo imminente e che dunque si attiva in una frazione di secondo. L’altro cervello, quello limbico, ci mette un po’ di più ad entrare in gioco. La neocorteccia, in ultimo, con i suoi famosi lobi frontali è come una prima donna che ama farsi attendere.

Il consiglio è allora quello di darsi tempo nell’attesa di questa prima donna. Darsi tempo significa fare una cosa per volta, essere “hic et nunc” ovvero “qui ed ora”, in questo posto ed in questo momento… è  questo a mio avviso il segreto del successo in tutte le cose.

Sembra facile, direte voi? Ma poi quando ti trovi nelle situazioni chi è che si mette a pensare ai tre cervelli?

E allora vi voglio raccontare una storia. La racconto sempre ai miei pazienti più sconsolati, affranti, demotivati, scoraggiati ed è la storia di una delle persone più intelligenti al mondo.

Elkhonon Goldberg, autore del libro “L’anima del cervello. Lobi frontali, mente e civiltà” e neuro scienziato di fama mondiale, non sarebbe la persona che è se non si fosse dato tempo attivando i suoi magnifici lobi frontali.

Ed è proprio nella prefazione del libro che racconta le sue vicissitudini ed il modo in cui ha preso il controllo della sua vita.

Goldberg, già laureato in neuropsicologia all’Università di Mosca, aveva come mentore il grande neurofisiologo russo Aleksander R. Lurija. Lurija a quell’epoca si stava interessando proprio allo studio dei lobi frontali e suggerì al suo discepolo di farne l’argomento del suo progetto di ricerca. E così fu. L’altro suggerimento che Lurija diede a Goldberg fu quello di iscriversi al Partito Comunista. Goldberg però non ne aveva nessuna intensione.

In Unione Sovietica un’intransigenza del genere si pagava a caro prezzo e aveva portato suo padre in un gulag. Dopo aver tergiversato una buona decina di volte, alla fine Goldberg disse chiaramente a Lurija che non si sarebbe iscritto al Partito. Inoltre, nonostante il profondo amore che nutriva per la sua terra e la sua lingua, aveva deciso di lasciare la Russia – ma questo, naturalmente, non glielo disse. Per un membro della società tenuto in grande considerazione (come era allora uno specializzando all’Università di Mosca) espatriare era pressoché impossibile….

Fu così che Goldberg mise a punto un piano, si diede tempo, non si concesse di agire d’istinto.

In un modo o nell’altro avrei evitato di discutere la mia tesi. Poi sarei scomparso dall’Università nel modo più discreto possibile e avrei lasciato Mosca. Sarei tornato nella mia città natale di Riga e avrei trovato il lavoro più umile possibile. Poi, dopo diversi mesi, o forse un anno, avrei fatto domanda per il visto d’uscita. A quel punto, gli eventi non sarebbero più dipesi da me.

Il regolamento diceva che i laureati dell’Università di Mosca e di Atenei simili erano individui preziosi ai quali non si poteva concedere l’espatrio. Il regolamento diceva anche che gli spazzini, gli autisti e i commessi di drogheria erano tutta gente di cui si poteva fare a meno, e potevano essere lasciati andare in nome di un rispetto, sia pure di facciata, per la distensione.

Nei miei calcoli poi c’era un altro fattore. Con il mio comportamento stavo implicitamente comunicando alle autorità che non avevo paura di loro. Rinunciando volontariamente al prestigio e alle promesse dello status accademico e mettendomi a fare un lavoro meschino, in un certo senso anticipavo la loro reazioni. Mi stavo volontariamente autoinfliggendo tutto ciò a cui esse stesse avrebbero potuto condannarmi qualora avessi inoltrato la domanda per il visto mentre ero ancora all’Università di Mosca. Togliendo loro qualsiasi strumento di rappresaglia, le privavo anche del controllo che avevano su di me.

Il racconto che Goldberg fa di quegli anni della sua vita è davvero affascinante e mi stupisce che nessun regista abbia ancora pensato a farne un film.

Ad ogni modo io uso spesso questa storia, che è la storia di una grande mente che tollera di passare per la persona più umile del mondo, pur di realizzare il suo piano.

Tutti noi abbiamo un piano e tutti siamo dotati di magnifici lobi frontali!

storie motivanti

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2 Comments:

  • Rosanna Gravina / / Rispondi

    una storia meravigliosa, essere padroni del proprio cervello vuol dire essere padroni di se stessi, e poter fare ciò di cui si ha voglia, anche se ci vorrà molto tempo per realizzarlo.
    Grazie per l’insegnamento !

    • Grazie Rosanna,
      la storia che ho raccontato è stata d’esempio per me e ne parlo spesso soprattutto ai giovani, spesso talentuosi ma a corto di speranze. Ogni difficoltà è più accettabile se si sa di avere un piano… è per questo che siamo dotati dei lobi frontali!
      Grazie del bel commento, Roberta

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