Circa gli aspetti motivazionali dello stare a dieta e altri piccoli disastri…

Sappiamo che la salute è legata all’alimentazione e allo stile di vita. Andando avanti con l’età, quando si perde il vantaggio legato alla giovinezza, tutti ci troviamo a fare dei buoni propositi. Piccoli dolori articolari, quel po’ di pancetta che ci vieta di vestirci come vorremmo, gli asterischi accanto ai valori ematici… sono tutti buoni motivi per mettersi a dieta e per investire un po’ di tempo in attività fisica.

Ma di quanti seguono questo percorso solo una parte arrivano a modificare realmente le proprie condotte rafforzati nel loro proposito dal fatto che dolori articolari, pancetta e asterischi scompaiono.

E tutti gli altri? Agli altri, quelli che falliscono, attribuiamo la qualità di scarsa determinazione. *Non ce la fa perché non ha volontà, non è determinato/a*; questo pensiamo noi medici, questo pensano familiari e amici/nemici e questo pensano loro.

Sono quelli che quando stanno a dieta e gli capita occasionalmente di *sgarrare* (magari perché un’amica li invita a prendere un caffè e insiste perché assaggino il pezzettino di torta) da quel momento alla fine della giornata continuano a mangiare cose non dietetiche (pur non avendo fame o forse neanche voglia) mentre nel loro cervello gira il pensiero auto-sabotante *tanto ormai…*.

E sotto questa spinta emozionale le calorie in più passano dalle 300 della torta alle 1500 della torta+i cioccolatini+la pizza+quel pezzo di formaggio+i biscotti con il latte prima di andare a letto.

Il problema poi non sono neanche quelle 1500 kcal in più. Il problema è invece che se è successo una volta succederà ancora, fin quando si arriverà a pensare che non siamo in grado di stare a dieta e a questo punto ci sentiremo ancora più liberi di *sgarrare*. E lo faremo di certo perché nel frattempo avremmo creato una sorta di dipendenza dai dolci e dal cibo spazzatura che ha le sue basi biochimiche nel sistema di ricompensa cerebrale (reward system).

Quando rifletto su queste dinamiche non posso fare a meno di pensare a quel capitolo della *Coscienza di Zeno* in cui l’Autore parla del vizio del fumo e del proposito di smettere di fumare.

*Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi quei propositi?*

Esemplificativa è la parte in cui parla della ricerca della data giusta che non è mai quella definitiva…

*Una volta, allorché da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perché essa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevo più possibile di formarne in quel luogo degli altri.

Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po’ più lontano.

Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori più vari ed anche ad olio. Il proponimento, rifatto con la fede più ingenua, trovava adeguata espressione nella forza del colore che doveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore. Certe date erano da me preferite per la concordanza delle cifre. Del secolo passato ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio: «Nono giorno del nono mese del 1899». Significativa nevvero? Il secolo nuovo m’apportò delle date ben altrimenti musicali: «Primo giorno del primo mese del 1901». Ancor oggi mi pare che se quella data potesse ripetersi, io saprei iniziare una nuova vita.

Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi ad un buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo supremamente categorico, la seguente: «Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24». Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta.

L’anno 1913 mi diede un momento d’esitazione. Mancava il tredicesimo mese per accordarlo con l’anno.*

Abbiamo tutti paura del giudizio e per questo aspiriamo alla perfezione. Essere perfetti farà sì che veniamo accettati dal resto del mondo. Così da adolescenti ci uniformiamo al gruppo pur di non risultare *diversi* perché abbiamo storicamente avversione per ciò che è diverso da noi.

Essere grassi di certo ci pone in una condizione di vulnerabilità, ci espone al giudizio degli altri, e questo giudizio fa molto male.

Ma mentre siamo combattuti tra il desiderio della perfezione e la difficoltà di stare a dieta e pensiamo sempre più di essere dotati di scarsa forza di volontà, in realtà quello che sta succedendo è che siamo vittime di convinzioni limitanti. Una convinzione è un’informazione a cui crediamo in maniera assoluta, qualcosa che non metteremo mai in discussione e che ha l’ulteriore svantaggio di *limitarci* nelle nostre azioni. Le convinzioni limitanti di una persona che vorrebbe mettersi a dieta e che in realtà non ci riesce potrebbero essere:

*una persona grassa non dimagrirà mai*

*sei spiccicata a tua nonna che pesava 120 kg ed è morta di diabete*

*stare a dieta è la cosa più difficile che ci sia*

*anche se dimagrisci non pensare che diventerai più bella*

*se dimagrisci tanto poi i chili li riprendi tutti e con gli interessi*

e chi più ne ha più ne metta…

Senza considerare che c’è anche la paura di cambiare. In qualche modo ce lo racconta Zeno quando attribuisce al vizio del fumo il suo mancato successo nella vita. *Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.*

La paura del cambiamento esiste perché ogni cambiamento comporta una perdita di equilibrio. Possiamo temere questo *smottamento interiore* di per sé oppure spaventarci di fronte a tutto ciò che di nuovo verrà come conseguenza del nostro cambiamento fisico.

Questo timore unito alle nostre convinzioni limitanti fa sì che rimaniamo paralizzati tra mille incertezze. Ed è così che scegliamo di non mettercela tutta, di rimandare, di fallire.

Tutti possono vedere che siamo su di peso, tutti pensano che abbiamo poca determinazione, tutti ci attribuiscono un valore in base al nostro aspetto e noi lasciamo che continui ad essere così… il nostro ruolo sociale e l’opinione che gli altri hanno di noi diventano parte della nostra confort zone. Si tratta di un ambiente virtuale che percepiamo come familiare e per questo sicuro.

Faccio un esempio per essere più chiara.

Se un ragazzo va male a scuola potrà sentirsi sconfortato per i suoi insuccessi scolastici. I professori possono averlo inquadrato come uno studente poco diligente oppure possono pensare che sia scarsamente dotato. Il ragazzo sa che nessuno si aspetta di più da lui e tutto sommato questa è una posizione comoda. Può succedere però che cominci ad impegnarsi fino a prendere bei voti. Potete pensare che a questo punto si senta gratificato ed orgoglioso del proprio successo. In realtà tra i tanti pensieri che gli girano in testa ce n’è uno che non è così potenziante e che suona più o meno così *Ce la farò da qui in poi a mantenere questo livello oppure sarò di nuovo una delusione per me e per gli altri!*. Il ragazzo è uscito dalla propria confort zone e percepisce un costante senso di ansia.

Anche il dimagrimento è un percorso che ci porta lontano dalla nostra confort zone. Ma solo se siamo tanto saggi da scrollarci di dosso la paura del fallimento e quella del giudizio possiamo pensare di crescere.

Come diceva Albert Einstein *Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi*.

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