Bacche di Goji e microbiota intestinale

Microbiota e dieta

Il microbiota intestinale umano è una comunità formata da oltre 10 alla 14 microrganismi con più di 1150 specie (quelle fin qui identificate). I Phylum più rappresentati sono i Firmicutes e i Bacteroidetes che assieme costituisco l’80-90% dei batteri residenti seguiti dai Proteobacteria, dagli Actinobacteria, dai Verrucomicrobia, dai Fusobacteria, dai Cyanobacteria e dalle Spirochete.

Alcuni autori lo hanno definito un nuovo organo esterno al nostro organismo. L’alterazione quali-quantitativa del microbiota intestinale è definita disbiosi ed è riconosciuta come la principale causa dei disturbi funzionali dell’apparato gastroenterico (dispepsia, gonfiore post-prandiale, meteorismo, diarrea, stipsi, alvo alterno) oppure come trigger di patologie sistemiche (patologie cronico-degenerative, allergia, patologie autoimmuni, sindrome plurimetabolica).

I fattori che possono causare disbiosi sono molteplici. Tra questi vanno citati la genetica, il ricorso alle terapie antibiotiche, l’età, la dieta. Proprio quest’ultima è stata riconosciuta come il principale fattore determinante la composizione del microbiota intestinale e si dimostra capace di modificarne l’assetto anche in acuto (tempi brevi).

Bacche di Goji, polisaccaridi e batteri intestinali

Sappiamo che i polisaccaridi non digeribili (vedi fibra alimentare) vengono utilizzati da alcuni batteri come substrato energetico e convertiti in acidi grassi a catena corta (Short Chain Fatty Acids o SCFAs). In particolare i Bacteroidetes producono acido butirrico e propionato, due acidi grassi a catena corta che svolgono effetti metabolici favorevoli (ad esempio promuovono il rilascio di GLP-1, un’incretina in grado di regolare il metabolismo degli zuccheri). Ci chiediamo allora se gli effetti benefici delle bacche di Goji possono essere legati alla loro componente polisaccaridica e all’azione del microbiota intestinale.

Le bacche di Goji (nome scientifico Lycium barbarum) provengono da una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae (la stessa famiglia botanica alla quale appartengono peperoni, melanzane e pomodori), diffusamente coltivata in Cina, in Giappone, in Corea, in Nord America e in Europa. Dal frutto di Lycium barbarum sono stati isolati diversi costituenti bioattivi tra i quali polisaccaridi, carotenoidi, vitamine, flavonoidi, alcaloidi, antrachinoni, antocianine e acidi organici. I polisaccaridi rappresentano il 5-8% del frutto disidratato.

Nelle ultime decadi numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che i polisaccaridi di L. barbarum (Lycium barbarum polysaccharides o LBPs)  hanno diverse funzioni biologiche svolgendo attività

  • immunoregolatoria,
  • anti-infiammatoria,
  • anti-tumorale,
  • ipoglicemizzante,
  • anti-colesterolo
  • e protettiva nei confronti della retina.

Gli LBPs includono principalmente

  • arabinogalattani,
  • acidi eteropolisaccaridici,
  • glucani.

Molti studi documentano che la gran parte degli LBPs sono resistenti agli enzimi digestivi e giungono intatti a livello del colon dove vengono digeriti e metabolizzati dai batteri intestinali. Il principale prodotto della loro metabolizzazione sono proprio gli acidi grassi a catena corta. Questa osservazione dimostra che se le bacche di Goji hanno un effetto benefico per la nostra salute è merito soprattutto del microbiota intestinale.

Gli italiani, grandi consumatori di bacche di Goji

La Global Survey di Nielsen Health/Wellness: food as medicine (vedi qui), un’indagine condotta nel 2017 su un campione di 30.000 individui in 63 Paesi tra i quali l’Italia, ha rilevato che la nostra penisola è prima tra i grandi Paesi europei per il consumo di bacche di Goji (16% degli intervistati vs meno del 6% in Germania, Gran Bretagna e Spagna).

Bacche di Goji, da dove vengono?

Attualmente, il 90% della produzione globale di bacche di Goji proviene dalla Cina. In Cina i regolamenti di produzione non sono rigorosi come quelli adottati in Italia. Poiché queste bacche vengono spedite e vendute in tutto il mondo con marchi diversi, è difficile avere informazioni sulla reale provenienza e sulla modalità di produzione. Fortunatamente negli ultimi anni si è cominciato a coltivare le bacche di Goji anche in Italia (un esempio).

Bacche di Goji come prebiotico

Diversi studi documentano che le bacche di Goji possono avere un effetto prebiotico. La definizione di prebiotico è riservata alle sostanze non digeribili di origine alimentare che, assunte in quantità adeguata, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o assunti insieme al prebiotico. In particolare gli LBPs incrementano l’abbondanza relativa dei Phylum Bacteroidetes e Firmicutes mentre riducono la presenza dei Proteobacteria. A livello di genere l’assunzione regolare di LBPs stimola la crescita di Akkermansia, Lactobacillus e Prevotella.

Al Phylum Proteobacteria appartengono ben noti patogeni. Tra questi rientrano Shigellosis, Vibrio, Salmonella typhimurium, Escherichia coli, Staphylococcus aureus, Helicobacter pylori, e Pseudomonas aeruginosa. Il complesso dei polisaccaridi presente nelle bacche di Goji è in grado di inibire la crescita in vitro di E. coli, di S. typhimurium, e di S. aureus.

L’anomala espansione dei Proteobacteria (Gram-negativi) è considerata un indicatore certo di disbiosi intestinale. Il loro livello in caso di infiammazione e cancro può essere triplicato rispetto a quello degli individui sani. Dal momento che i batteri che appartengono al Phylum dei Proteobacteria sono gram-negativi, questi contribuiscono a produrre il doppio delle citochine pro-infiammatorie rispetto a quanto accade con i batteri gram-positivi. La parete cellulare dei batteri gram-negativi contiene il lipopolisaccaride o LPS, altresì noto come endotossina. Legandosi ad uno specifico recettore presente sulle cellule dell’immunità innata (Toll-like receptor 4 o TLR4), l’LPS attiva un pathways che porta alla produzione di citochine proinfiammtorie (IL-1, IL-6, TNF-α).

Conclusioni

La dieta è il principale strumento di prevenzione primaria. Ci ammaliamo se mangiamo male, riusciamo a preservare la nostra riserva di salute mangiando bene. Mangiare bene significa soddisfare a pieno il fabbisogno energetico, assumere la giusta quantità di macronutrienti (proteine, carboidrati e grassi) e coprire il fabbisogno in micronutrienti (sali minerali, vitamine, antiossidanti). L’industrializzazione in ambito agronomico ha portato senza dubbio ad un impoverimento del valore nutrizionale di frutta e verdura. Anche se ci sforziamo di mangiare vario, di seguire la stagionalità, di consumare almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno potremmo non ricevere dalla dieta tutto quello che ci serve.

Qualche anno fa lo scienziato di fama mondiale Martin J. Blaser ha pubblicato un libro dal titolo “Missing microbes“, tradotto in italiano con la frase “Che fine hanno fatto i nostri batteri?” Non possiamo sperare di stare bene se stiamo prendendo di mira il nostro microbiota intestinale attraverso un’alimentazione impropria e attraverso l’uso irrazionale degli antibiotici. Blaser nel suo libro punta il dito contro gli antibiotici. A me viene facile fare un parallelismo. Mentre in ambito medico ci siamo lasciati prendere la mano con la prescrizione di antibiotici anche laddove non sarebbe servito, dall’altra abbiamo dato il via ad un’agricoltura che ha spinto sulla produttività utilizzando pesticidi che hanno impoverito la popolazione microbica dei terreni.

In un’ottica One Health, meno microbi significa meno salute per tutti.

Non c’è dubbio che stiamo usando male le nostre risorse.  Auspico un cambio di paradigma che arriverà quando tutti saremo consapevoli. Nell’attesa che ciò avvenga l’azione più concreta che possiamo compiere è quella di prenderci cura di noi iniziando dalle scelte alimentari.

 

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