Si definisce steatosi epatica non alcolica (NAFLD, Nonalcholic Fatty Liver Disease) un ingrossamento del fegato dovuto ad accumulo diffuso di grassi neutri (trigliceridi). In corso di esame obiettivo il medico può apprezzare, specie nei soggetti magri, l’ingrandimento globale dell’organo (che peraltro ha dimensioni e forma variabili in relazione alla costituzione del soggetto) ed un *gradiente* di consistenza, più molle nella steatosi semplice, via via più dura quando compare e si evolve la malattia infiammatoria e fibrotizzante. La diagnosi corretta richiede l’ecografia e l’esame istologico su frammenti di tessuto epatico ottenuto con biopsia eseguita per via transcutanea con guida ecografica.

All’ecografia si apprezza generalmente un’epatomegalia (ingrossamento del fegato) con aumento dell’ecogenicità del parenchima nelle sedi in cui si accumula il grasso.  La biopsia epatica fornisce un reperto indistinguibile da quello della steatosi su base alcolica. All’interno degli epatociti si accumulano grandi e piccole vescicole di grasso, costituite in gran parte da trigliceridi. A seconda delle dimensioni delle gocce di grasso la NAFLD viene classificata in macrovescicolare e in microvescicolare. All’estremo più benigno dello spettro clinico mancano l’infiammazione epatica, la morte degli epatociti e la fibrosi (nonostante l’aumento persistente degli enzimi epatici – GOT e soprattutto GPT – nel siero). Quando l’infiltrazione grassa è accompagnata dall’infiammazione si parla di steatoepatite non alcolica (NASH, Non Alcoholic SteatoHepatitis). In questo caso la biopsia epatica mostra steatosi, infiammazione multifocale del parenchima, corpi ialini di Mallory, morte degli epatociti e fibrosi sinusoidale. Sebbene vi siano pochi studi prospettici sulla storia naturale di questa malattia, un numero crescente di dati indica che la cirrosi può comparire come risultato di anni di progressione subclinica dei processi di flogosi e di fibrosi.

La NAFLD sembra essere fortemente associata con l’obesità e con l’insulino-resistenza, con il diabete e con altre condizioni tipiche della sindrome plurimetabolica, come nel caso di alti livelli di trigliceridi e bassi livelli di HDL.

L’obesità viscerale è il principale fattore di rischio per la NAFLD: l’aumento di trigliceridi negli adipociti e le concentrazioni più elevate di acidi grassi liberi possono favorire lo stoccaggio epatico dei lipidi, l’insulino-resistenza e i danni progressivi al fegato. I trigger che portano dall’accumulo di peso alla comparsa del fegato grasso sono molteplici. Così, ad esempio, l’adiponectina è una adipochina capace di proteggere il fegato da infiammazione e fibrosi. Ebbene, questa adipochina è abbondante nel siero umano ma i suoi livelli sono ridotti in caso di obesità e sono ancora più bassi nei pazienti con NASH. Insomma l’evidenza scientifica e i dati epidemiologici dimostrano che l’obesità viscerale e l’epatosteatosi sono due facce della stessa medaglia.

Se le cose stanno così perché i pazienti affetti da malattia de Kennedy, pur non in condizioni di sovrappeso o obesità, sviluppano una steatosi epatica ingravescente?

La malattia di Kennedy: modello dell’interplay tra muscolo, scheletro e fegato

La malattia di Kennedy, nota anche come atrofia muscolare spinale e bulbare (SBMA, Spinal and Bulbar Muscular Atrophy), è una rara malattia ereditaria a carico dei motoneuroni e caratterizzata da atrofia dei muscoli bulbari e di quelli prossimali degli arti. All’esordio i pazienti affetti da questa rara malattia (l’incidenza stimata è di 1 caso su 400.000 all’anno) presentano crampi muscolari, mialgie, parestesie, stanchezza prematura durante l’esercizio fisico, deficit di forza e mancata coordinazione. In una fase più avanzata vi è il coinvolgimento dei muscoli bulbari e la comparsa delle problematiche relative al linguaggio, alla masticazione, alla mimica facciale e alla deglutizione. Deficit di forza e mancata coordinazione espongono i pazienti ad un aumentato rischio di cadute. Lo scheletro tende a perdere densità poiché i muscoli atrofici esercitano uno scarso stimolo sul processo di mineralizzazione. Ancor giovani questi pazienti presentano osteopenia ed osteoporosi e cadendo hanno un’alta probabilità di fratturarsi. Ogni frattura rappresenta un evento drammatico perché la ripresa è problematica e la disabilità in genere aumenta.

Con il tempo compaiono anche alterazioni dei parametri ematici (aumento dei trigliceridi e delle transaminasi). Il più delle volte i pazienti kennediani presentano anche un’epatomegalia ed epatosteatosi.

Per queste sue caratteristiche la malattia di Kennedy rappresenta un modello dell’interplay tra muscolo, scheletro e fegato. Chiarire questi concetti potrebbe aiutare i clinici nel mettere a punto strategie terapeutiche o di prevenzione per i pazienti kennediani e per tutti coloro che vanno incontro ad una riduzione progressiva della massa muscolare (poiché invecchiando perdiamo muscolo il discorso che stiamo facendo è estendibile a tutti noi).

Osteoporosi, sarcopenia e fegato grasso

Iniziamo con il dire che l’associazione tra NAFLD e diminuita densità minerale ossea (BMD, Bone Mineral Density) è stata confermata, per tutte le fasce di età, in numerosi studi epidemiologici. La ridotta densità minerale ossea porta dapprima ad osteopenia e poi ad osteoporosi. L’osteoporosi si può definire come un disordine delle ossa, caratterizzato dalla compromissione della loro robustezza, che predispone ad un aumento del rischio di frattura.

Per l’OMS la diagnosi densitometrica di osteoporosi si basa sulla valutazione con tecnica Dual-energy X-ray Absorptiometry (DXA) della densità minerale ossea, raffrontata a quella media di soggetti adulti sani dello stesso sesso (che abbiano raggiunto il cosiddetto picco di massa ossea). L’unità di misura è rappresentata dalla deviazione standard dal picco medio di massa ossea (T-score). È stato osservato che il rischio di frattura inizia ad aumentare in maniera esponenziale quando si hanno valori densitometrici di T-score < -2.5 SD. Secondo l’OMS un T-score < – 2.5 SD rappresenta la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi. Qui di seguito vengono descritti i quattro possibili scenari.

  1. La BMD normale è definita da un T-score compreso fra +2,5 e -1,0.
  2. L’osteopenia è definita da un T-score compreso tra -1,0 e -2,5 DS.
  3. L’osteoporosi è definita da un T-score inferiore a -2,5 DS.
  4. L’osteoporosi conclamata è definita da un T-score inferiore a -2,5 DS e dalla contemporanea presenza di una o più fratture da fragilità.

Dunque, una scarsa massa muscolare aumenta la probabilità di andare incontro ad osteopenia/osteoporosi perché, come abbiamo già detto,  i muscoli atrofici esercitano uno scarso stimolo sul processo di mineralizzazione. Ma la scarsa massa muscolare è anche associata ad un maggior rischio di sviluppare NAFLD. Nello studio KHANES 2008-2011 (Lee YH et al., 2015) è stata trovata una forte correlazione tra sarcopenia e NAFLD indipendentemente dalla presenza di obesità e di insulino-resistenza. La sarcopenia viene definita come la perdita di massa muscolare combinata con perdita di funzione muscolare ed alterazioni qualitative del muscolo.

A fronte di quanto detto le domande che sorgono spontanee sono: Quale potrebbe essere il link tra sarcopenia e fegato grasso? Questo link potrebbe essere valido anche nei pazienti affetti da malattie neurodegenerative?

Per rispondere potremmo iniziare da qui:

L’asse Growth Hormone/Insulin-like Growth Factor 1 (GH/IGF1) è coinvolto nel metabolismo dei muscoli scheletrici così come nel rimodellamento osseo. Gli ormoni più importanti ai fini dell’accrescimento e del mantenimento del patrimonio proteico muscolare sono:

  1. l’ormone della crescita (GH, Growth Hormone) che incrementa le sintesi delle proteine strutturali favorendo il trasporto intracellulare degli aminoacidi plasmatici;
  2. l’insulina e gli steroidi sessuali (testosterone ed estrogeni) che potenziano l’attività del GH;
  3. gli ormoni tiroidei (FT3 e FT4) che provvedono alle grandi richieste energetiche necessarie per la sintesi proteica attraverso un marcato incremento degli enzimi mitocondriali.

Lo studio della fisiologia ha dimostrato che, prescindendo dagli effetti dell’attività fisica, l’accrescimento muscolare si arresta intorno ai 20 anni, si mantiene costante fino ai 40 anni e va incontro ad una lenta e progressiva riduzione negli anni a seguire. Le fibrocellule muscolari si riducono in numero e dimensione e vengono sostituite da tessuto fibrotico. Questo fenomeno per quanto presente già a partire dai 40 anni assume una decisa accelerazione tanto da configurarsi come una vera e propria “crisi muscolare” dai 50 anni in su. Siamo in quel periodo della vita che gli Autori di lingua anglosassone definiscono “somatopausa” per sottolineare che la rapida caduta di GH che si verifica a partire da questa età svolge un ruolo determinante nella depressione del trofismo muscolare.

Conclusioni

In questo articolo ho appena fatto cenno agli attori del complesso gioco di squadra che definisce lo stato di salute dei nostri muscoli, delle nostre ossa e del nostro fegato. Sto approfondendo questi argomenti dopo aver conosciuto un paziente affetto da malattia di Kennedy. Il mio scopo è quello di trovare il razionale per un approccio nutrizionale finalizzato a gestire le complicanze metaboliche di questa patologia neurodegenerativa.

Mi è capitato di dire una volta che siamo tutti kennediani. L’ho detto pur avendo ben presenti le difficoltà ingravescenti di un malato di atrofia muscolare spinale e bulbare. L’ho detto perché, se pur con un passo diverso, tutti noi andiamo incontro a perdita di massa muscolare, a osteopenia e a deposizione di grasso viscerale. Ammiro il lavoro dei genetisti che stanno studiando la malattia allo scopo di trovare una cura definitiva. Sono persone dotate di cuore ed intelletto: questo ci vuole quando si ha a che fare con una malattia rara.

Però ci tengo a dire che anche se la malattia di Kennedy è una malattia rara le sue complicanze metaboliche sono diffusissime, interessano tutti noi, coinvolgono tutte le fasce di età.

 

 

 

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