Come mai negli ultimi tempi si parla così tanto di microbiota?
In buona parte è per via del progresso scientifico che ci ha consentito di conoscere meglio i nostri inquilini dei piani bassi. Negli ultimi anni l’argomento microbiota sembra andare piuttosto di moda. Nella letteratura scientifica la parola gut microbiota si trova legata a qualsiasi tipo di patologia: obesità, diabete, ipertensione, infarto acuto del miocardio, demenza senile. Questo elenco potrebbe continuare ancora.
È solo ultimamente che è stato stabilito il link tra microbiota intestinale e fegato grasso.
Grazie all’analisi dell’rRNA 16-S abbiamo potuto stabilire che il nostro microbiota è composto da oltre 1.000 specie, la gran parte appartenenti ai Phyla Firmicutes, Bacteroidetes, Actinobacteria e Proteobacteria. La popolazione microbica intestinale è estremamente dinamica e risente di fattori ambientali, dello stress, e del tipo di alimentazione. La disbiosi, termine con il quale si identifica una generica alterazione del microbiota, ha profondi effetti sull’organismo ospite ed è stata messa in relazione con diverse condizioni patologiche, inclusa l’obesità e l’epatosteatosi. Con questo termine i medici si riferiscono a quella condizione patologica che i più conoscono come fegato grasso.
Nella popolazione generale, la prevalenza stimata di questa malattia varia dal 3% al 24% . Il fegato si ingrossa (epatomegalia lieve-moderata) a seguito dell’accumulo diffuso di grassi neutri (trigliceridi) negli epatociti. All’ecografia si apprezza generalmente un fegato “brillante” perché a seguito dell’infiltrazione di grassi nel tessuto epatico (parenchima) aumenta la capacità di rimandare segnali eco. Così sul referto dell’ecografia epatica potrebbero trovarsi frasi tipo queste:
Fegato nella norma per morfologia e volume, con profili parietali regolari ed ecostruttura parenchimale diffusamente iperecogena come per steatosi di grado lieve
Fegato di dimensioni aumentate ed ecostruttura diffusamente iperreflettente come per steatosi di grado medio, esente da lesioni focali
Fegato di dimensioni nei limiti ad ecostruttura finemente disomogenea ed iperecogena come per una condizione di steatosi epatica di grado severo senza evidenza di lesioni focali né di formazioni cistiche
Dunque all’esame ecografico la steatosi epatica può essere di grado lieve, moderato e severo.
Fegato grasso, il link con l’intestino
Tutti ciò che viene assorbito a livello della mucosa intestinale passa attraverso il filtro epatico. Dal punto di vista anatomico fegato ed intestino sono connessi attraverso la circolazione entero-portale. Il sangue di provenienza dall’intestino espone il fegato ad un carico tossico formato dalla moltitudine di metaboliti intestinali e dalle sostanze derivanti dalla digestione. E se il fegato si ingrossasse e si ingrassasse come risposta al carico di tossine? In tutto questo quale potrebbe essere la responsabilità del microbiota?
Negli ultimi anni si sono raccolte diverse evidenze del coinvolgimento del microbiota nell’eziopatogenesi l’epatosteatosi. Già nel 1982 Drenick et al. studiarono l’insorgenza di steatosi epatica in pazienti sottoposti a bypass gastrico e nei quali si assisteva ad una sovracrescita di batteri nel piccolo intestino o bacterial overgrowth. In questo studio è stata documentata la regressione della steatosi epatica a seguito del trattamento con l’antibiotico metronidazolo suggerendo, secondo una logica ex adjuvantibus, il potenziale ruolo del microbiota intestinale nel causare l’epatosteatosi. Di certo non è un caso se la prevalenza di fenomeni di bacterial overgrowth si è dimostrata maggiore nei pazienti con fegato grasso rispetto ai controlli sani.
Microbiota, intestino poroso e fegato grasso
La mucosa intestinale ha principalmente il ruolo di assorbire macro e micronutrienti. Compito non facile se contemporaneamente si deve evitare di far passare ciò che non è buono. Come si fa ad impedire che i trilioni di specie batteriche commensali possano penetrare lo spazio sterile (sterile host milieu) subito al di sotto della mucosa intestinale? È possibile grazie al fatto che ciò che è buono passa attraverso specifiche porte ed appositi canali mentre ciò che è cattivo non viene riconosciuto dai sistemi recettoriali ed è tenuto debitamente fuori. E questo grazie anche alla struttura tipica della mucosa intestinale sana.
Le componenti strutturali della barriera intestinale sono le tight junctions (o giunzioni serrate) che interconnettono cellule adiacenti e sono coinvolte nella regolazione della permeabilità intestinale. L’associazione tra l’aumentata permeabilità intestinale, conseguente alla rottura delle giunzioni serrate, ed il fegato grasso fu per prima dimostrata da Miele et al. Quando le giunzioni serrate si allentano si creano dei varchi a livello della mucosa intestinale. Questa condizione è ormai nota come sindrome dell’intestino permeabile o dell’intestino poroso o leaky gut syndrome. Ebbene, la leaky gut syndrome è alla base della gran parte delle patologie dell’epoca moderna, dall’obesità alla demenza senile, dal diabete al fegato grasso.
Virus, batteri e citochine
Qui le cose si fanno un po’ più difficili…
Virus e batteri patogeni vengono riconosciuti attraverso il sistema dei Toll-like receptors (TLR). I TLR costituiscono una famiglia di recettori per il riconoscimento degli agenti patogeni (o PRP, Pattern Recognition Receptor). Si tratta di molecole ampiamente conservate nel corso dell’evoluzione. Sono espresse in molti tipi cellulari che svolgono ruoli essenziali nelle risposte immunitarie innate contro i microbi. Nell’uomo vi sono undici diversi TLR, identificati con una numerazione progressiva (da TLR1 a TLR11).
Diversi sono i prodotti microbici che stimolano i TLR e questi includono il lipopolisaccaride (LPS) dei batteri gram negativi, le lipoproteine batteriche, l’acido lipoteicoico, il lipoarabinomannano, lo zymosan, la flagellina, la proteina di fusione del virus respiratorio sinciziale, motivi CpG non metilati, RNA a doppia elica ed RNA a singola elica.
Quando ad esempio le lipoproteine batteriche entrano a contatto con un TLR vengono attivati alcuni fattori di trascrizione NF-κB, AP-I, IRF-3 e IRF-7. In particolare NF-κB e/o AP-I stimolano l’espressione di geni che codificano molte delle molecole delle risposte innate, che comprendono citochine infiammatorie (ad esempio TNF-α e IL-1), chemochine (ad esempio CCL2) e molecole di adesione dell’endotelio (ad esempio E-selectina).
Uno dei più studiati componenti microbici in grado di indurre una risposta infiammatoria è il lipopolisacacride (LPS). Altresì noto come endotossina l’LPS è un componente della parete cellulare dei batteri gram negativi. Una volta penetrato al di sotto della mucosa intestinale (cosa possibile in caso di intestino poroso) l’LPS si lega all’ LPS-binding protein che a sua volta interagisce con il recettore CD14 presente a livello delle cellule di Kupffer. Queste sono cellule che si trovano nel parenchima epatico ed hanno il ruolo di fagocitare (mangiare) i patogeni. Sono proprio le cellule di Kupffer, attivate dalla valanga di LPS che passa attraverso un intestino poroso, a causare l’infiammazione che è alla base del danno epatico e della progressione verso l’epatosteatosi. Il CD14 è a sua volta associato con il TLR4 e questa interazione porta alla cascata di eventi pro-infiammatori con rilascio di citochine e produzione di specie reattive dell’ossigeno (radicali liberi). Un aumento modesto ma cronico dell’LPS come conseguenza di uno stato di disbiosi e dell’alterata permeabilità intestinale è stato riscontrato in caso di sindrome metabolica. A questa condizione ci si riferisce con il termine di endotossiemia.
Dieta, disbiosi e fegato grasso
La Western Diet (dieta occidentale, la nostra purtroppo…) è tipicamente ricca in carboidrati. Questo modello alimentare fa sì che giornalmente dai 20 ai 60 grammi di carboidrati raggiungano il colon e diventino substrato di fermentazione ad opera della popolazione microbica intestinale. Gli acidi grassi a catena corta (SCFS, Short Chain Fatty Acids), acetato, proprionato e butirrato sono prodotti per opera della fermentazione batterica dei polisaccaridi. Turnbaugh et al. hanno dimostrato che il contenuto ciecale di topi obesi è ricco di SCFA. Simili risultati sono stati trovati in individui obesi se confrontati con soggetti magri. Più elevate concentrazioni di SCFA si associano ad un più alto BMI. Su questa base è stata avanzata l’ipotesi che gli SCFA possano essere implicati nella patogenesi della epatosteatosi.
L’intestino disbiotico… una fabbrica di alcool
Uni dei meccanismi alla base dell’associazione tra epatosteatosi e disbiosi è la produzione intestinale di etanolo che agirebbe come una qualsiasi epatotossina. Se nell’intestino alberghiamo una maggiore quota di alcohol-producing bacteria (batteri produttori di alcol) abbiamo più probabilità di andare incontro ad un’epatosteatosi.
Fegato grasso… la soluzione
Sulla base di quanto fin qui detto (spero in modo tale da essere compreso… ) le cose da fare in caso di fegato grasso sono:
- agire sulla dieta passando da una western diet ad una natural diet;
- perdere peso e ridurre la propria circonferenza vita (queste prime due azioni aiuteranno a modulare il microbiota e a ridurre la produzione di fattori proinfiammatori);
- fare attività fisica regolare;
- evitare le bevande alcoliche (con buona probabilità a rendere “brillo” il nostro fegato “brillante” ci pensano già i nostri alcohol-producing bacteria;
- … si potrebbe valutare infine l’assunzione di pro-biotici e pre-biotici… che però a mio parere sono come acqua fresca se prima non si è fatto tutto il resto!
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