La celiachia è in costante aumento. Si stima che ogni anno vengano diagnosticati 10.000 nuovi casi . Il 27-30% delle diagnosi riguardano i bambini. Quando la malattia viene individuata in un adulto si può ipotizzare un ritardo di diagnosi oppure un esordio tardivo.

Cos’è la celiachia?

Si tratta di una patologia immuno-mediata sistemica indotta dalle prolamine del grano e di altri cereali. Queste proteine di riserva si dimostrano tossiche in soggetti geneticamente predisposti. La malattia è caratterizzata da un ben preciso profilo sierologico (presenza di anticorpi anti-endomisio, anti-transglutaminasi e anti-gliadina deamidata) e istologico (appiattimento dei villi intestinali e presenza di infiltrato linfocitario).

Il glutine come fattore scatenante

Il glutine è una matrice proteica caratterizzata dall’essere elastica e viscosa (chiunque abbia impastato ha un’idea precisa di cosa sia il glutine) ed è formata da gliadina (proteina monomerica) e glutenina (proteina polimerica). Le peptidasi (enzimi preposti alla digestione delle proteine) gastriche e pancreatiche scindono la gliadina in più frammenti polipeptidici. Alcuni di questi frammenti hanno un effetto citotossico (tossico per le cellule), altri favoriscono il rilascio della zonulina, altri ancora quello di una citochina ad azione pro-infiammatoria (si tratta per la precisione della chemochina CXC interleuchina 8).

La zonulina è una sostanza ad azione enzimatica (scoperta da Alessio Fasano, il massimo esperto al mondo di malattia celiaca) il cui ruolo è quello di allentare le tight junctions (le giunzioni serrate che sono poste tra un enterocita e l’altro). L’aumentato rilascio di zonulina si traduce in una permeabilità intestinale patologica (gli esperti parlano di leaky gut syndrome o sindrome dell’intestino poroso).

Glutine e microbiota intestinale

In condizioni fisiologiche e in presenza di un buon assetto del microbiota intestinale (condizione nota come eubiosi), i frammenti polipeptici derivanti dalla parziale digestione del glutine vengono ulteriormente processati da parte di specifici batteri mentre d’altro canto viene garantita una buona tenuta della barriera intestinale. A far sì che il nostro intestino non si trasformi in un colabrodo non ci sono solo le giunzioni serrate. Importante è il ruolo del doppio strato di muco che riveste tutto l’intestino, dal duodeno fino al retto. C’è un inner layer (uno strato interno) più sottile e denso nel quale sono dispersi peptidi ad azione anti-infiammatoria e che risulta complessivamente sterile (privo di batteri). C’è anche un outer layer (uno strato esterno) che si affaccia sul lume intestinale e che è più spesso e lasso. È questa la casa dei batteri aderenti alla mucosa (mucosa adherent compartment), vale a dire dei batteri buoni.

Nel lume intestinale stanno dispersi tutti gli altri batteri, alcuni dei quali potenzialmente patogeni (luminal compartment). Ci vogliono anche loro dal momento che l’intestino è a tutti gli effetti la palestra nella quale il nostro Sistema Immunitario va ad allenarsi tutti i giorni (lui si allena… e voi?).

Leaky gut syndrome e celiachia

Ora immaginiamo di avere una barriera intestinale piuttosto malandata (è così ogni volta che c’è una disbiosi). Quando i peptidi derivanti dalla digestione parziale della gliadina passano al di sotto della lamina propria incontrano l’enzima transglutaminasi. Questo agisce deamidando la gliadina. Il processo di deamidazione aumenta l’affinità dei peptidi gliadinici per le molecole HLA delle cellule presentanti l’antigene. Sono cellule dell’Immunità Innata che una volta allertate portano all’attivazione dei linfociti T citotossici intra-epiteliali che a loro volta danneggiano gli enterociti. Il complesso HLA/gliadina/transglutaminasi, inoltre, induce una risposta da parte dei linfociti B (quelli dell’Immunità Specifica) con conseguente produzione di auto-anticorpi.

Malattia celiaca: i sintomi

La malattia si caratterizza per la presenza di sintomi gastrointestinali:

  1. diarrea
  2. dolore e distensione
  3. anoressia

e di sintomi extra-intestinali (i fattori infiammatori ed in particolare le citochine Th-1, Th-2 e Th-17 viaggiano attraverso il flusso sanguigno e giungono in ogni dove):

  1. anemia
  2. osteoporosi
  3. crampi muscolari
  4. neuropatie periferiche
  5. disordini dell’apparato riproduttivo
  6. dermatite erpetiforme
  7. alopecia

La predisposizione genetica a diventare celiaci

Perché si sviluppi la celiachia bisogna che ci sia una predisposizione genetica individuabile attraverso lo studio dei polimorfismi degli antigeni leucocitari umani. La presenza delle varianti HLA DQ2 (DQA1* 0501 – DQB1* 0201) e HLA DQ8 (DQA1* 0301 – DQB1* 0302) ci dice che siamo predisposti a diventare celiaci.

Disbiosi e celiachia

La scoperta interessante è che nei soggetti celiaci, oltre ad essere presenti questi aplotipi, vi è anche una forma di disbiosi intestinale caratterizzata dalla ridotta presenza di Bifidobatteri in generale e di Bifidobacterium longum in particolare e dall’abbondanza relativa di Staphylococcus spp. e di Bacteroides fragilis.  Anche questo assetto del consorzio microbico è da annoverarsi tra i trigger che portano alla perdita della tolleranza al glutine?

Gli studi scientifici sembrano dimostrare che è così. E se è così la domanda che viene spontanea è la seguente. Immaginiamo di avere una giovane coppia in cui lei o lui siano celiaci. La genetica predisponente verrà tramandata al nuovo nato… ma anche a fronte della familiarità per la celiachia si può fare in modo che il figlio di  questa coppia conservi per sempre la tolleranza al glutine? Esiste una finestra di opportunità (window of opportunity) piuttosto precoce nella vita di un bambino nella quale agendo sulla composizione del microbiota intestinale si può scongiurare la comparsa della celiachia.

Nei soggetti a rischio ritardare l’introduzione del glutine nell’alimentazione non previene ma posticipa l’esordio della celiachia. Una introduzione precoce non induce tolleranza ma al contrario può anticipare l’insorgenza dei sintomi e aumentarne la gravità.

L’introduzione del glutine va pertanto collocata tra il quarto ed il settimo mese di vita evitando l’assunzione di grandi quantità di glutine nei primi mesi dall’inizio dello svezzamento. La somministrazione di un probiotico a base di Bifidobacterium longum ES1 alla mamma che allatta (i bifidobatteri della mamma passano al bambino attraverso il latte) e al bambino stesso può potenziare il microbiota intestinale al punto da garantire una piena digestione del glutine, una modulazione dello stato infiammatorio e una buona maturazione della barriera intestinale. In questo modo le chance di scongiurare la celiachia aumentano. Vale la pena provarci? Io direi di sì.

E in chi ha già una diagnosi di celiachia? La dieta gluten-free associata al nostro probiotico a base di B. longum ES1 determina la riduzione dei batteri potenzialmente pro-infiammatori (vedi Bacteroides fragilis) correlati con la celiachia, porta ad una riduzione dei linfociti T attivati e dei markers infiammatori (TNF-alfa) e prepara l’intestino a digerire quella piccola porzione di glutine legata ai fenomeni di contaminazione.

Conclusioni…

Non c’è cosa che mi dia più soddisfazione del tradurre in pratica le conoscenze che derivano dallo studio della letteratura scientifica. Non è sempre possibile. Spesso c’è un gap incolmabile tra la ricerca di base e l’applicazione delle nuove scoperte in ambito clinico.

Non è questo il caso.

Se io fossi celiachia assumerei stabilmente questo probiotico, e se da celiaca volessi diventare mamma lo farei con maggiore convinzione.

 

 

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