Poiché scrivo sull’argomento già da un po’ mi è capitato che qualcuno, riconoscendomi la qualifica di esperta,  mi abbia chiesto di interpretare il proprio test del microbiota intestinale auto-prescritto. Mi sono chiesta allora qual è il motivo per cui una persona decida di sottoporsi ad un simile esame senza richiedere il consulto di un medico. L’impressione che ho nel momento in cui raccolgo l’opinione delle persone non addette ai lavori è che al test del microbiota intestinale venga associata la capacità di risolvere annosi problemi di dispepsia, di sovrappeso e obesità, di reazioni avverse agli alimenti. Così lo spirito con il quale ci si sottopone a questo tipo di indagine è lo stesso che ha portato migliaia di persone a sottoporsi ai test di intolleranza agli alimenti. Si pensa che in quel referto possa risiedere la spiegazione di tutto.

Due precisazioni: la prima è che la colpa è anche nostra (intendo di chi fa divulgazione) perché il messaggio che passa è che un microbiota disbiotico è la causa di tutti i mali e che la cura della disbiosi può essere per traslato la cura di tutti i mali; la seconda è che il test del microbiota intestinale ha un robusto substrato scientifico mentre il test delle intolleranze alimentari (quale che sia) non è stato validato scientificamente… si tratta piuttosto di pseudo-scienza e di pseudo-medicina.

Ora non vi è dubbio che io nutra un grande entusiasmo per lo studio del microbiota intestinale. Arriverà un tempo in cui nessun medico potrà permettersi di rimanere digiuno di questi argomenti.  Oggi però i medici capaci di leggere un test del microbiota intestinale sono veramente pochi. Non posso frenarmi allora dal darvi un consiglio: se pensate che i vostri disturbi nascano dall’intestino (vale l’assunto per cui ciascuno di noi è il miglior medico di se stesso) non vi avventurate a fare un test a caso di cui poi non saprete cosa farne. Riferitevi invece ad un medico che abbia questo know-how.

Perché analizzare il microbiota fecale colonico?

La letteratura scientifica parla del microbiota intestinale come di un organo che deve avere metodi di analisi adeguati e terapie dedicate. Il metodo di analisi è il test fecale colonico attraverso il quale è possibile diagnosticare una disbiosi. Se è vero che la disbiosi (alterazione qualitativa e quantitativa della flora batterica residente) può essere intesa come la patologia dell’organo microbiota è pure vero che un organo microbiota malato può dare il suo contributo ad una patologia sistemica. Di fronte ad un paziente cardiopatico, ad esempio, c’è da chiedersi se la disbiosi intestinale possa contribuire in qualche modo alla progressione della patologia. Questi argomenti sono ampiamente trattati nell’ambito della letteratura scientifica e si sente spesso parlare di asse intestino-cuore, asse intestino-cervello, asse intestino-fegato, asse intestino-pelle e potrei continuare così ancora per un po’.

Se poi l’organo microbiota malato contribuisce alla malattia sistemica, allora curare l’organo microbiota può contribuire a curare la malattia sistemica.

Non tutti i test del microbiota intestinale sono uguali

Non tutti i test del microbiota intestinale sono uguali. Quello che utilizzo io per i miei pazienti analizza regioni variabili del gene ribosomiale 16S con sequenziatori Illumina che garantiscono il più basso rateo di errore tra tutti i sistemi di sequenziamento di nuova generazione (Next Generation Sequenzing, NGS). Le sequenze di lettura ottenute vengono processate mediante analisi bioinformatiche che assicurano la massima accuratezza nella ricostruzione del profilo tassonomico. E qui per gli addetti ai lavori (ma anche per i non addetti) devo introdurre un concetto nuovo, quello di OTUs. Si tratta di un acronimo che sta per Operational Taxonomic Units e si riferisce a gruppi di organismi che presentano una somiglianza nella sequenza di DNA di un gene marcatore tassonomico specifico (originariamente coniato come mOTU o OTU molecolare). Per chi conosce la tassonomia linneana una OTU è un’entità tassonomica che sta tra il genere e la specie. Tornando a noi, nel test che uso io la specificità di OTU è al 99%. Gran parte delle analisi, invece, applicano metodi diversi e altamente inesatti oppure imprecisi perché generano OTU solo al 97% di identità. Non so se riesco a rendere l’idea ma un’identità di OTU al 97% espone ad errori grossolani: si può facilmente confondere un batterio con un altro andando fuori strada sia nella fase diagnostica che di conseguenza in quella terapeutica.

L’altro grande vantaggio del test che propongo io (e che mi ha richiesto oltre un anno di studio) è il fatto di analizzare 280 generi, praticamente tutti quelli ad oggi conosciuti, arrivando a stabilire se questi generi sono in eccesso o in difetto rispetto alla media del database di controllo.

Che cos’è la media del database di controllo? È la composizione media in termini di Phylum e generi di un campione statisticamente significativo di soggetti che si trovino in condizioni di eubiosi.

Quali parametri valuta il test fecale colonico?

Test fecale colonico può essere un altro modo di chiamare il test del microbiota intestinale ed è un modo più preciso perché quella che andiamo ad analizzare è la flora batterica residente a livello del colon (il test si esegue su un campione fecale) e non quella del piccolo intestino. I parametri che vengono analizzati sono:

  1. alfa-biodiversità, descritta dall’andamento della curva di rarefazione;
  2.  composizione per Phylum;
  3.  enterotipo;
  4.  rapporto Firmicutes/Bacteroidetes;
  5.  rapporto gram-positivi/gram-negativi;
  6.  analisi dei singoli taxa per codificare i generi coinvolti nella possibile disbiosi;
  7.  covarianze batteriche.

Biodiversità: quando è scarsa sono guai

La prima considerazione da fare è che un soggetto sano ha un’elevata biodiversità. La grande diversificazione batterica garantisce una grande adattabilità al variare delle condizioni ambientali, ci consente di poter processare in maniera completa i vari substrati nutrizionali, di poter usufruire di un largo spettro di metaboliti batterici utili alla salute dell’intestino e a quella dell’intero organismo.

Scarsa alfa-biodiversità (ridotto numero di OTUs e curva di rarefazione più bassa rispetto a quella del database di controllo) significa maggiore predisposizione a:

  • atopia (allergia, asma, dermatite atopica);
  • Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (Rettocolite Ulcerosa, morbo di Crohn);
  • malattie del metabolismo (obesità, diabete, sindrome plurimetabolica);
  • autoimmunità;
  • carcinoma del colon-retto.

Un’aumentata alfa-biodiversità è invece suggestiva di SIBO, condizione nella quale c’è una sovraccrescita di batteri nel piccolo intestino.

Gli enterotipi: l’impronta digitale del microbiota colonico

L’enterotipo è la classificazione del consorzio fecale in relazione alle possibili dominanze batteriche. Esistono tre diversi enterotipi:

  1.  Enterotipo 1 con dominanza del genere Bacteroides, è associato ad una tipica Western Diet ricca in proteine ed in grassi saturi ed è il meno resiliente (risente enormemente della terapia antibiotica e di ogni possibile insulto);
  2.  Enterotipo 2 con dominanza del genere Prevotella, è associato alle diete povere di proteine e di grassi animali e ricche al contrario di fibre vegetali;
  3.  Enterotipo 3 con dominanza del genere Ruminococcus, è il più stabile, non sembra associarsi in maniera specifica ad una particolare dieta anche se esiste un legame con l’uso di cereali, leguminose e fibre vegetali (alimenti tipici della Dieta Mediterranea).

Il rapporto Firmicutes/Bacteroides ovvero l’obesity ratio

Un intestino sano è caratterizzato da un rapporto Firmicutes/Bateroidetes compreso tra 0,8 e 1. Se prevalgono i batteri del Phylum Firmicutes si ha una forte spinta verso l’aumento del peso corporeo fino alla comparsa di forme di obesità. Per questo il rapporto F/B è anche noto nella letteratura scientifica come obesity ratio. La spiegazione di questo fenomeno è in gran parte legata ad un’aumento dell’energy harvest (ancora un’espressione inglese… non c’è scampo quando le fonti di informazioni sono gli articoli scientifici) ovvero della capacità di ricavare energia anche dalle fibre vegetali. Mi verrebbe da dire, volendo calcare un po’ la mano, che chi alberga tanti Firmicutes nel proprio intestino rischia di ingrassare anche solo mangiando insalata.

Il rapporto Gram +/Gram –

In condizioni ottimali il rapporto Gram +/Gram – dovrebbe essere pari a 0,5. Deve destare, invece, preoccupazione un rapporto Gram +/Gram – inferiore a 0.1. Il prevalere dei batteri Gram – è associato ad un’alta concentrazione di lipopolisaccaride (LPS) sia nell’ambiente intestinale che a livello sistemico. L’LPS è un frammento della membrana esterna dei batteri gram negativi. Alla loro morte i batteri rilasciano parti della loro struttura cellulare ma questo fenomeno non dovrebbe avere alcun effetto negativo sulla salute dell’organismo ospite a meno che non si siano creati dei varchi nella membrana intestinale. Si tratta di una condizione disfunzionale nota come leaky gut syndrome o sindrome dell’intestino permeabile. L’allentamento delle giunzioni serrate tra un enterocita e l’altro, conseguenza di un persistente stato infiammatorio a sua volta legato alla disbiosi, fa sì che l’LPS possa passare al di là della mucosa intestinale propagando lo stato infiammatorio al resto del corpo. È proprio questo il link tra disbiosi, infiammazione sistemica di basso grado e malattie cronico degenerative.

Conclusioni

Questo articolo non vuole essere esaustivo. Molto ancora ci sarebbe da dire sul test del microbiota intestinale e molto dirò nei prossimi articoli. Io per stare al passo mi sono imposta da tempo di leggere un articolo scientifico al giorno. È così che si va costruendo la mia expertise. Allora non posso che concludere così come ho iniziato: non tutti i test sono uguali e non tutti i medici sono in grado di leggere un test del microbiota fecale colonico.

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.